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buon grado i nuovi venuti.
«Sara?»
«Non essere sciocco. Nello stato in cui è, le parole non significano nul-
la.»
È quello che credi tu. Ma mi tenni ben stretta la consapevoìezza che riu-
scivo a sentire. Mi udii ridacchiare dentro di me. Con gli occhi chiusi vidi
delle sagome oscure entrare nella stanza.
«È sorta la luna.»
Il chiarore lunare era dentro le mie palpebre, e camminavo con gli occhi
chiusi in una strana luce senza colore; le sagome che si chinavano verso di
me avevano forme strane, che bene si adattavano alle loro voci spezzate.
«Sollevala con ogni precauzione. L'Essere Cornuto si arrabbierà se le
facciamo del male.»
Risate beffarde da qualche parte. Riuscivo a vedere l'Essere Cornuto,
con la maschera doppia che per metà rideva e per metà esprimeva un gran-
de dolore.
Qualcuno mi disse gentilmente: «È ora di andare». Conoscevo quella
voce dolce, mi protesi verso le sue soffici curve. Mani incorporee mi sol-
levarono e, a quel contatto, mi sentii volare verso l'alto, attraverso la luce
astrale priva di colore.
«Come viaggeremo?»
«Vola, vola! Le scope ci aspettano!»
La stanza svanì. Qualcuno mi mise un manico di scopa in mano. Ma cer-
to, in quale altro modo una strega dovrebbe recarsi al Sabba? Lo inforcai.
Sembrava morbido, come un enorme organo fallico, troppo grosso per pe-
netrarmi ma venuto comunque per accogliermi e confortarmi. Lo accarez-
zai amorevolmente. In un lampo di lucidità mi accorsi di movimenti, di
passi, dello sforzo che mi costava mettere un piede davanti all'altro, di ma-
ni che mi guidavano. Stavo sognando, naturalmente, le mani e il movimen-
to dovevano essere un sogno.
«Cavalca! Cavalca! Sorelle e fratelli dell'Oscuro, salite in cielo!»
L'aria fredda mi sferzava il viso; il movimento del manico di scopa tra le
gambe era uno zoppicare ridicolo, poi spiccai il volo e mi lasciai alle spalle
le stelle mentre puntavo direttamente sulla luna rossa e maestosa che sem-
brava sul punto di esplodere. Intorno a me il cielo era pieno di streghe,
grosse sagome scure curve sulle scope; anche Barnabas era appollaiato su
una di loro, e la taccola di Tibby aveva occhi umani, e con le ali che si era-
no fatte enormi, come quelle di un condor, volava alla mia stessa velocità.
La luna era enorme, ma ne distinguevo la luce solo attraverso le palpebre
chiuse, così come con gli occhi serrati indovinavo il paese e le case che si
stendevano sotto di me, il vasto orizzonte che giungeva fino ai tetti a due
falde di Arkham. Il paesaggio era stranamente colorato e angolare, come il
negativo di una fotografia: avvertii il brontolio dei demoni che si muove-
vano sotto la superficie e vomitai quando sentii il loro odore disgustoso al
sollevarsi del terreno; le lapidi nel vecchio cimitero si mossero, tremarono
e ne uscirono creature biancastre, che si contorcevano come vermi.
Aprii gli occhi davanti al lume di una candela. La chiesa diroccata mi si
apriva intorno: la cappella era solo una versione terrena dell'autentica chie-
sa diabolica, ben più estesa, con la quercia e il patibolo dove un tempo ero
stata impiccata, i cani che ringhiavano dalla fossa sottostante, in cui ave-
vano leccato il mio sangue.
Al di là del guizzo della candela vidi avvicinarsi l'Essere Cornuto. Mi
ero spinta troppo oltre per sentire le grida e i canti, ma riuscii a vederlo
chiaramente, un'imponente figura maschile senza indumenti. Era alto al-
meno due metri e mezzo, anche se le sue dimensioni variavano ondeggian-
do come l'ombra muta alla luce di una candela. In certi momenti sembrava
tanto piccolo da poter essere preso in mano e mangiato come un omino di
zucchero; un attimo dopo si gonfiava e cresceva fino a raggiungere il tetto.
Aveva un pene lungo, enorme, con la punta dipinta di rosso. Indossava so-
lo una catenina con una stella a cinque punte e la mostruosa maschera con
le corna.
La sua voce, che riconoscevo e che mi era al contempo sconosciuta,
rimbombava. Era la voce di Matthew Hay ma possente e riecheggiante
come se fosse amplificata da un megafono.
«Benvenuta, diamo il benvenuto alla nostra sacerdotessa! Ti accogliamo
dopo sette anni tra le catene della morte!»
Le sue mani si spostarono tra le ceneri del fuoco rituale, e con quelle di-
segnò una figura sconosciuta sul mio petto. Dietro di lui si librarono delle
urla: ne individuai gli artefici, erano sagome scure di uomini e donne nudi,
vecchi e giovani, scuri di pelle o bianchi, le cui fattezze erano distorte dalla
fiammella danzante della candela che li faceva assomigliare a orrendi stre-
goni. Con la coscienza mi allontanai di nuovo galleggiando nel vuoto, e
quando mi ridestai li vidi, a due a due, che si avvicinavano al fuoco e se ne
allontanavano saltando, volando e gridando. Quel curioso e stomachevole
odore mi circondava penetrandomi. Dietro a loro e ai corpi informi che a-
bitavano intravidi scheletri, morti che camminavano, moltitudini di cada-
veri viventi, e ancora più lontano spiriti fatati che si accalcavano, luminosi
e bizzarri. I loro visi risplendevano di luce: certo, pensai, quella luce non si
è mai vista sulla terra né sul mare. Le streghe facevano capriole e urlavano,
e il dio cornuto, gigantesco, mi teneva stretta, facendomi galleggiare a
mezz'aria sopra l'altare. Il suo organo sessuale, gigantesco ed eretto, era
proprio davanti a me e, in un istante di oblio, lo afferrai. La nausea si era
calmata, anche se la luce astrale grigiastra mi avviluppava ancora e vedevo
meglio con gli occhi chiusi. L'odore di morte e di erbe mi impregnava an-
cora le narici, e il dio cornuto troneggiava sopra di me con la sua massa in-
corporea.
Mi toccò i capezzoli nudi con un dito, e li sentii indurirsi come per salu-
tare degnamente quel pene gigantesco. Tenevo le palpebre abbassate, ma
ci vedevo meglio che non se avessi spalancato gli occhi alla luce del sole.
Avevo la pelle viva, ricoperta da un milione di minuscole bocche affamate,
tutte desiderose di essere baciate, riempite.
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